In questi giorni stiamo assistendo ad un acceso dibattito politico in merito alla mancata sottoscrizione da parte dell’Italia della dichiarazione presentata dalla presidenza belga dell’Unione europea ai Paesi membri contro l’omofobia e per la promozione delle politiche europee a favore della comunità LGBTQIA+. Che l’attuale Governo, fin dai suoi esordi, abbia relegato le questioni relative alla comunità LGBTQIA+ a posizioni secondarie è chiaro da tempo; tuttavia, appare quasi paradossale che la mancata adesione del nostro Paese alla proposta arrivi subito dopo le dichiarazioni in cui l’esecutivo si è detto “sempre in prima linea nel contrasto a discriminazioni e violenze inaccettabili”.
Una necessità più che mai urgente nel nostro Pese: l’Arcigay ha diffuso dei dati allarmanti che rivelano come “dal 17 maggio 2023 a oggi gli organi di informazione hanno riportato 149 casi di violenze o discriminazioni generate dall’odio verso persone Lgbtqi+”.
Invece, purtroppo, nei fatti si fa tutt’altro, non solo non sottoscrivendo il documento europeo, ma per di più apportando giustificazioni a dir poco improponibili, come il fatto di precisare come il Governo non abbia intenzione di sottoscrivere alcun documento “che riguardi la negazione dell’identità maschile e femminile”. A fronte di tali affermazioni, viene spontaneo chiedersi in che modo una dichiarazione a tutela dei diritti umani, in cui si invitano i Paesi membri ad implementare e rafforzare le strategie nazionali per garantire l’uguaglianza e tutelare le persone LGBTQIA+ costituisca un grave pericolo per l’identità sessuale altrui piuttosto che un fondamentale passo avanti per i diritti umani e una conquista di civiltà.
Ci rammarica che la scelta sia stata, invece, quella di assumere una posizione retrograda, che avvicina l’Italia a Paesi in cui i Governi nazionali hanno assunto, spesso, posizioni lesive delle libertà personali e dei princìpi democratici.